IL GRANDE SACCO

Il sacco di Roma, non lo si può definire diversamente, differisce profondamente da quello di Palermo degli anni sessanta operato dai corleonesi. Totò Riina e soci appaiono dei dilettanti al confronto. Allora bastò mettere un Ciancimino qualunque al posto di Assessore ai Lavori Pubblici, fargli firmare 2300 delibere di edilizia privata, costruire così palazzi a buon mercato e rivenduti con prezzi vantaggiosi. Tangentopoli era più raffinata: concussi e concussori si scambiavano delibere e favori a prezzo di tangenti. Adesso il clan para-terroristico di estrema destra si è insediato nelle sfere della politica, si è impossessato dell’erario romano e dei soldi dei cittadini che vedono peraltro rivalutazioni esose fino al 600% dei propri immobili. I costi della metro C sono lievitati da 2,7 a 3,7 miliardi, 234 milioni a km contro la media europea di 130, surclassando la linea  4 di Milano, quella azzurra che costa solo 57 mln /km. Gli appalti di uno degli indagati sono lievi da 9 a 90 nel corso di giunte di centro-sinistra e centro-destra, nel segno inequivocabile che far politica significa fare affari. Una sorta di mondo degli affari russo, in miniatura con qualche Putin locale di troppo, che se non  sapeva era troppo poco accorto ed allora non degno di governare questa città. Le mani sulla città di Francesco Rosi del 1962 sono il cubetto di ghiaccio della punta dell’iceberg, una previsione felicissima ma forse fin troppo eufemistica. E nel frattempo le rivalutazioni sugli immobili uccidono le tasche dei cittadini  e ne mettono in discussione anche la stessa sopravvivenza economica.