L’INTEGRAZIONE CULTURALE DEI CITTADINI IMMIGRATI

 

L’INTEGRAZIONE CULTURALE DEI CITTADINI IMMIGRATI

Il fenomeno migratorio inizia con  il 9 novembre 1989. La caduta del muro di Berlino e della cortina di ferro apre i confini europei alla massa migrante dall’Est Europeo e coincide con la migrazione dalle coste africane. Le fasi migratorie sono coeve anche se in prima istanza fino alla seconda metà degli anni ’90 prevale la concentrazione di cittadini provenienti dal Marocco, Egitto e, per i paesi europei, Polonia, Albania. Segue la fase dei Rumeni e successivamente dall’estremo oriente. Complessivamente oggi in Italia abbiamo 5 milioni di immigrati, stabili  e circa 2.5 milioni di migranti a tempo determinato come studenti cinesi, trans-migranti verso altri Paesi.

1.1 Un insediamento legale ed economico

L’insediamento di A nel contesto socio-politico italiano risponde fondamentalmente ad una motivazione economica: la necessità di una migliore occupazione lavorativa – in termini di regolarità, di durata contrattuale e di remunerazione –, per una migliore situazione materiale della propria famiglia – in termini di abitazione, sostentamento, abbigliamento e servizi (scuole, negozi, farmacie, etc.) –.

1.2 Una socializzazione problematica

Dall’analisi dei dati riguardanti la dimensione sociale della famiglia emerge una certa problematicità nella socializzazione nel contesto locale di residenza. Tale socializzazione risulta caratterizzata da scarse e superficiali relazioni inter-etniche e da frequenti e profonde relazioni intra-etniche: una scarsa socializzazione – in ambito lavorativo ed extralavorativo – con individui di nazionalità italiana, od altra nazionalità, ed una forte socializzazione con individui della propria nazionalità.

In verità, la maggior parte dei migranti racconta di aver avuto, inizialmente, una buona accoglienza – quindi, un buon inserimento sociale in ambito lavorativo ed extralavorativo –, grazie alla disponibilità e alla solidarietà dei “colleghi”, dei “paesani” e degli stessi “servizi sociali” territoriali. Un atteggiamento di apertura e di disponibilità dovuto, molto probabilmente, alla personale curiosità degli “interlocutori”; alla maggiore facilità «di accettazione nei piccoli paesi dove la frequentazione quotidiana è una garanzia» (35); alla stessa natura non ancora emergenziale e massmediatica dell’immigrazione straniera in Italia (36). Successivamente, però, secondo i soggetti osservati, gli atteggiamenti degli “altri” (gli autoctoni) sono mutati negativamente, con forme di distanza, di derisione, di indisponibilità, di indifferenza o,addirittura, di ostilità. Molto probabilmente, tale cambiamento è stato determinato dal naturale emergere, nella conoscenza e nel confronto etnico, di un forte timore della diversità culturale dei non-comunitari; nondimeno, dalla constatazione di alcune negative conseguenze socio-economiche del loro insediamento. Tuttavia, il cambiamento è stato probabilmente determinato anche dal diverso comportamento degli stessi soggetti – ormai stabilmente insediati ed ambientati nel contesto locale – con atteggiamenti di maggiore indisponenza e di maggiore freddezza nei rapporti inter-35 ) «Mentre più difficile si presenta la correzione del pregiudizio nelle città di costa, dove oltre alle dimensioni e alla maggiore dinamica degli scambi, funziona, purtroppo anche la presenza reale delle attività illegali nelle quali gli albanesi dividono con altri

gruppi una forte visibilità» (R.Novelli, “L’emigrazione albanese nelle Marche” in U.Melchionda, ibidem, pp.278-279). Come osserva A.Cancellieri: «Negli anni ’80 e inizio anni ’90, il fenomeno migratorio non ha ancora assunto una dimensione rilevante a livello nazionale e l’attenzione dei mass media è sicuramente meno definita rispetto a quella attuale.» (A.Cancellieri, “Le relazioni sociali degli immigrati: analisi di un caso” in G.Sciortino e A.Colombo (a cura di), ibidem, p.138) 35etnici. I rapporti di amicizia di A e B sono indirizzati unicamente verso parenti ed amici connazionali, con elementi di chiusura etnica, vista come auto-emarginazione nel tessuto sociale locale. È pur vero che questa chiusura non sia da considerarsi in sé negativa: «Zhou (1997), …, pone in rilievo l’utilizzo dell’etnicità come base per forme di cooperazione capaci di superare gli svantaggi strutturati. Ambienti sociali ristretti, vigilanti, culturalmente integrati, favoriscono la conformità ai valori familiari, che a loro volta promuovono l’impegno scolastico e comportamenti virtuosi sotto il profilo dell’accettazione sociale, prevenendo l’acculturazione negli strati deprivilegiati della società….» (37). Tuttavia, in una piccola e tradizionale realtà locale – come quella vissuta dalla famiglia straniera in analisi – tale “etnicità” forte può agire negativamente nel processo di integrazione sociale degli stranieri.

1.3 Un’integrazione socio-economica strumentale e subalterna

 Nonostante tutto, si è comunque realizzata una certa forma di integrazione sociale dei soggetti nel contesto ricevente. Un’integrazione di natura strumentale, determinata dalla necessità di soddisfare certe esigenze familiari primarie: esigenze alimentari, vestiarie, mediche ed amministrative. Si tratta di una forma di adattamento al sistema socioeconomico e burocratico della società ricevente. In altri termini, si tratta di un adattamento funzionale al raggiungimento di certi obiettivi del proprio progetto migratorio: un buon inserimento lavorativo; un buon regime di vita; una buona tranquillità ‘esistenziale’. Vari sono i fattori di tale integrazione: l’accumulazione di esperienza; l’apprendimento linguistico – sebbene non ottimale –; l’acquisizione di una certa abilità di movimento nella sfera economica ed amministrativa della società ricevente; e la stessa “strategia della mimetizzazione”, facilitata dalleaffinità somatiche dei soggetti. Tali fattori, «come mostrano diverse ricerche (per es. Zucchetti 2002), riducono a loro volta il bisogno di fare riferimento alle reti etniche….» (38), spingendo così gli individui extra-comunitari ad una maggiore apertura ed un maggiore adattamento al contesto di accoglienza.  Tuttavia, l’integrazione socio-economica dei soggetti risulta di natura subalterna: a) hanno accettato di svolgere – sebbene per un breve periodo – l’attività sgradita e squalificata di operaio di discarica pubblica; b) hanno svolto diversi lavori nella semplice qualifica di manovali, interessati solamente allo stipendio mensile (reso più cospicuo mediante straordinari e turni di lavoro notturni e festivi); c) la famiglia abita in un appartamento isolato e vecchio, con varie carenze strutturali (è privo di impianto di riscaldamento, di bidè, di vasca da bagno, di box doccia); d) hanno fatto richiesta di un’abitazione di edilizia popolare.

PAR.2 L’INTEGRAZIONE CULTURALE

2.1 Un’acculturazione silenziosa ma superficiale

Logicamente, la chiusura sociale dei soggetti può creare una naturale chiusura culturale nei confronti del contesto storico-tradizionale di accoglienza; al contempo, la stessa chiusura culturale dei soggetti può creare una chiusura sociale nel contesto di accoglienza.  In verità, la chiusura culturale non è stata totale: A e B hanno inevitabilmente assimilato valori,tradizioni e modi di vita della società ricevente. Vari, difatti, sono stati i fattori inevitabili di assimilazione culturale: la distanza fisica ed emotiva dei soggetti dalla comunità di appartenenza; lavicinanza stretta ed assidua alla comunità di accoglienza; la quotidiana attività lavorativa; l’attività del “servizio educativo domiciliare”; e la stessa persuasiva visione di programmi televisivi Tuttavia, l’assimilazione culturale dei soggetti osservati risulta sostanzialmente inintenzionale, superficiale e parziale: indiretta e lenta; non profonda; e concernente essenzialmente i valori 37 ) M.Ambrosini, “Il futuro in mezzo a noi” in M.Ambrosini e S.Molina (a cura di), Un’introduzione al futuro dell’immigrazione in Italia, Edizioni della Fondazione Giovanni Agnelli, Torino, 2004, p.30 38 ) M.Ambrosini “Per un inquadramento teorico del tema: il modello italiano di immigrazione e le funzioni delle reti etniche” in M.La Rosa e L.Zanfrini (a cura di), ibidem, p.16 36 materiali legati ai consumi, caratteristici della società neocapitalista di insediamento. Si tratta di una forma di «acculturazione silenziosa, senza proteste, senza turbolenze e senza costruzione e affermazione di un’identità propria, con tutt’al più qualche residuo di una cultura altra, confinato nella sfera privata e destinato a diluirsi di generazione in generazione» (Damien 2001, p.167)» (39).

2.2 Una situazione di ambivalenza culturale

 In verità, la suddetta forma di “acculturazione silenziosa” non ha implicato – né implicherà – la perdita della forte identità etnica dei soggetti osservati; piuttosto, una complessa situazione di ambivalenza culturale. Dalla valutazione dei dati concernenti lo stile di vita, i modelli di riferimento e gli orientamenti di valore dei soggetti osservati, si osserva l’emergere di una situazione di «ambivalenza tra mantenimento di codici culturali tradizionali e desiderio di integrazione e ascesa sociale nel contesto della società ospitante, tra volontà di controllo delle scelte e dei comportamenti dei figli e confronto con una società che enfatizza i valori dell’emancipazione e dell’eguaglianza, tra attaccamento a un’identità comunitaria e valorizzazione dell’autonomia personale. Foner (1997) ha rilevato come nelle famiglie immigrate “vecchio” e “nuovo” si fondono, creando nuovi stili di vita familiare.» (40). Manifestazioni di questa ambivalenza culturale, ovvero del contatto/distacco dalla cultura di accoglienza e, contemporaneamente, del contatto/distacco dalla cultura di provenienza, sono date, innanzitutto, da forme di assimilazione della cultura autoctona. A e B vestono alla moda italiana; apprezzano il cibo e le ricette locali; seguono alcune tradizioni cristiane, festeggiando il S.Natale, la S. Pasqua ed il patrono del paese (la chiesa a lui dedicata è adiacente al loro caseggiato); addirittura, a volte, commentano negativamente la propria cultura (i conflitti etnici, la povertà, la delinquenza);e non rispettano vari precetti religiosi musulmani.

D’altro canto, varie sono le manifestazioni del loro attaccamento alla propria cultura di origine: usano prodotti alimentari e ricette tradizionali; rispettano le festività musulmane; ritornano al proprio paese nel periodo estivo; apprezzano gli abiti fastosi e preziosi delle loro cerimonie; rifiutano amicizie non-etniche.

L’INTEGRAZIONE DEGLI IMMIGRATI DI SECONDA GENERAZIONE:

PAR. 1 L’INTEGRAZIONE SOCIALE

1.1 Un insediamento legale ed affettivo

 «Per accedere alla cittadinanza formale, la differenza principale verte relativamente allo ius soli e alla ius sanguinis (lo ius soli conferisce la cittadinanza ai nati sul territorio nazionale, mentre lo ius sanguinis ai figli di cittadini). (……..).

Con la legislazione del 1992, invece, è stato emanato un provvedimento secondo il quale i bambini nati da genitori stranieri in Italia prendono la nazionalità dei genitori. Essi possono richiedere la cittadinanza italiana entro un anno dal raggiungimento del 37 1.2 Una socializzazione meno problematica  I dati raccolti, relativamente alla dimensione sociale dei minori C, D, E, F, mostrano una

socializzazione meno problematica rispetto alla socializzazione dei propri genitori. Questa minore problematicità relazionale è dovuta chiaramente ad una maggiore capacità di comunicazione; ad una maggiore curiosità; ad una maggiore necessità di compagnia e ad una maggiore occasionalità di incontro dei minori. Si tratta di fattori di socializzazione strettamente legati alle attività, agli interessi, alla vitalità ed alla spensieratezza della giovane età dei soggetti.

 Tuttavia, anche la socialità dei minori stranieri osservati presenta alcuni elementi problematici. Sia nella dimensione generazionale che nella dimensione etnica della loro relazionalità esterna, intervengono vari fattori ostacolanti. Nelle relazioni intra-generazionali – sia intra-etniche che interetniche – intervengono, essenzialmente e fortemente, i fattori caratteriali di egoismo, di intolleranza e di presunzione, propri dell’età pre-adolescenziale. Nelle relazioni inter-generazionali – sia intraetniche che inter-etniche – interviene la diversità di esperienze e di aspettative tra i giovani e gliadulti; nondimeno, i forti reciproci pregiudizi circa le differenze di cultura, di pelle e di religione tra i minori non comunitari e gli adulti comunitari. Risulta evidente che la socialità dei fratelli macedoni sia caratterizzata sostanzialmente da relazioni sociali occasionali, superficiali e conflittuali; le stesse relazioni affettive – interne ed esterne – risultano fortemente ambivalenti, vissute tra aperture e chiusure, tra accettazioni e resistenze, tra condivisioni e incomprensioni.

1.3 Un’integrazione sociale spontanea e progressiva

 A differenza dell’integrazione socio-economica strumentale e subalterna dei genitori,l’integrazione sociale dei figli risulta spontanea e progressiva. L’attribuzione di spontaneità al processo integrativo dei minori osservati vuol sostanzialmente evidenziare l’inintenzionalità della loro socialità: la naturalità dell’apertura all’altro – sebbene non totale e facile – sostenuta dalle attività, dalla curiosità e dall’esuberanza della propria età.  D’altro canto, l’attribuzione di progressività al processo integrativo dei minori osservati vuole indicare sostanzialmente due condizioni peculiari del loro percorso sociale. Da un lato, vuole indicare lo sviluppo lento, ma inevitabile, di tale processo, conseguentemente alla scolarizzazione e alla socializzazione secondaria dei minori nel contesto di accoglienza; dall’altro lato, vuol indicarela cosiddetta mobilità sociale dei soggetti: la possibilità di un miglioramento socio-economico dei minori; il possibile passaggio dal basso status sociale dei genitori ad uno status socio-economico più elevato, grazie al migliore apprendimento linguistico; alla maggiore acculturazione; alla migliore socialità inter-etnica; alla maggiore familiarità con l’ambiente di accoglienza.  In base ai dati registrati relativamente alle relazioni interne tra genitori e figli e ai modelli di riferimento nelle dinamiche di socializzazione inter-etnica dei minori, risultano come aspetti più fondamentali – presenti o imminenti – della loro integrazione sociale:

a) «il fenomeno del rovesciamento dei ruoli, attraverso il quale i figli, grazie alla migliore conoscenza della lingua, assumono precocemente responsabilità adulte nel confronto con la società ospitante, fino a diventare, per certi aspetti, “i genitori dei loro genitori”, coloro che li accompagnano dal medico, nei rapporti con gli uffici pubblici, nei contatti con le istituzioni scolastiche, ecc. Questo fenomeno rischia di indebolire l’immagine dei genitori e il loro ruolo di guide per la crescita dei figli;

b) la precoce perdita di autorevolezza e capacità educativa da parte dei genitori, non supportati da una rete di prossimità e di collaborazione informale, superati dai figli per dimistichezza, socializzazione, capacità di interazione con la società ricevente;

c) le tendenze già richiamate dei figli a fuoriuscire dalle forme di integrazione subalterna accettate

dai padri, basate sull’inserimento nelle posizioni inferiori delle gerarchie occupazionali, diciottesimo anno di età, soltanto se essi risultano continuativamente residenti in Italia dalla nascita al momento della domanda.» in J.Andall, “Italiani o stranieri? La seconda generazione in Italia” in G.Sciortino e A.Colombo (a cura di), ibidem, pp.289-291 38 attraverso l’assunzione di schemi cognitivi e criteri di valutazione molto più simili a quelli dei coetani autoctoni nei confronti delle opportunità offerte dal mercato del lavoro.» (42)

 Emerge chiaramente l’inevitabilità dell’integrazione sociale dei minori osservati, conseguentemente: 1) alle condizioni oggettive di inserimento – più volte evidenziate – della scolarizzazione, della socializzazione inter-etnica e della stessa attività educativa domiciliare; 2) ad alcune condizioni soggettive di inserimento, come la lontananza emotiva dal paese di origine, la necessità adolescenziale di aggregazione e la forte tendenza imitativa dei minori. Tuttavia, si tratta di un’integrazione lenta e non facile per l’azione di due resistenti “freni”: i

caratteristici negativi atteggiamenti adolescenziali dei minori (sopra accennati) e la forte etnicità assimilata dal contesto affettivo e sociale della famiglia. Una etnicità vissuta passivamente nelle relazioni familiari e parentali; ma problematicamente nelle relazioni esterneinter-etniche.

Dunque, l’integrazione sociale dei minori immigrati si realizza nel contesto locale di residenza, non come un pieno, intenzionale ed attivo inserimento nella realtà sociale ricevente, ma, sostanzialmente, come un lento e inevitabile distacco dalla realtà sociale delle origini, nonostante sia qui riprodotta mediante le larghe reti etniche di socialità familiare, tuttavia esse stesse inevitabilmente contaminate dal contesto socio-culturale di accoglienza.

PAR.2 L’INTEGRAZIONE CULTURALE

2.1 Un’acculturazione silenziosa e profonda

 Dall’osservazione dei dati relativi allo stile di vita, ai modelli di riferimento, agli orientamenti di valore, agli ambienti frequentati dai minori indagati, risulta evidente la loro progressiva acculturazione. Si tratta dell’assimilazione silenziosa – non contrastata e inintenzionale –, ma continua e profonda, dei gusti, delle aspirazioni, dei valori e degli atteggiamenti dei coetani autoctoni. Fattori di tale acculturazione risultano – di nuovo – la distanza dalla comunità di appartenenza; la scolarizzazione; la socializzazione inter-etnica (sebbene scarsa e superficiale, ma incisiva); l’educativa domiciliare e la stessa fruizione televisiva. In altri termini, l’esperienza quotidiana scolastica ed extrascolastica dei minori nella comunità di accoglienza determina in modo rilevante il loro cambiamento culturale, sebbene lentamente ed inconsapevolmente. Due gli aspetti più evidenti dell’acculturazione dei minori osservati: il rifiuto di alcuni principi della cultura di origine ed un emergente conflitto intergenerazionale con i propri genitori. Il rifiuto di alcune aspettative e di alcuni valori comunitari – come i valori di patriarcato, di differenze di genere, di conformità a certe regole comportamentali – si manifesta sostanzialmente con comportamenti devianti – anche se nascosti – dalle direttive educative dei genitori; con numerosi e chiari commenti negativi alla propria tradizione culturale; con l’imitazione di atteggiamenti mentali e comportamentali dei coetani autoctoni. Il conflitto inter-generazionale – determinato da tale acculturazione e dalla stessa accennata “crisi adolescenziale” – si manifesta sostanzialmente nel suddetto rifiuto dei modelli culturali della società di origine; nella diversità di aspirazioni tra i figli ed i genitori; nell’incomprensione, da parte dei genitori, di certe esigenze socio-psicologiche dei minori.

2.2 Una situazione di assimilazione culturale

 Nel caso dei genitori si è realizzata un’integrazione culturale superficiale e parziale: una situazione di semplice contaminazione; di contatto ed influenza superficiale da parte della cultura diaccoglienza. Di contro, nel caso dei minori stranieri osservati si è realizzata un’integrazione culturale profonda e quasi totale: una situazione di vera e propria assimilazione culturale; di contatto ed acquisizione della cultura autoctona di accoglienza.

Nonostante il legame familiare con la cultura di origine, l’identità “in fieri” dei minori risulta di natura sostanzialmente non-etnica: la provenienza e l’etnia viene solitamente nascosta e relegata 42 ) M.Ambrosini, “Il futuro in mezzo a noi”, ibidem, pp.33-34 39alla sfera privata (familiare e parentale). Forte è il loro senso di appartenenza socio-culturale allacomunità ricevente. D’altronde, i minori sono nati, o comunque cresciuti, nel contesto di accoglienza; ed hanno seguito, e tuttora seguono, il percorso di acculturazione scolastica di tale contesto.

Manifestazioni di questa assimilazione culturale dei minori osservati – come accennato in vari punti della Parte II – sono date sostanzialmente dall’imitazione dei coetani italiani; dalla partecipazione ad alcune festività religiose cattoliche della comunità ricevente: il S.Natale, la S. Pasqua ed la festività del patrono del paese; dal rifiuto di certi valori religiosi e certi valori tradizionali della comunità etnica di appartenenza; dall’ignoranza e dall’indifferenza per la storia del proprio paese di origine; dall’aspirazione ad un futuro sicuro e sereno in questo Paese!

CAP.3

LE PROSPETTIVE DEL’INTEGRAZIONE

PAR.1 IL MODELLO ITALIANO DI INTEGRAZIONE STRANIERA

 «Questa Italia cerca oggi una propria capacità di reazione, si sforza di superare l’emergenza, punta su un modello integrativo della prima generazione fondato sul lavoro, ma non dimentica l’importanza della mediazione del sistema scolastico e dell’integrazione nella polis democratica. Avrà l’Italia le risorse finanziarie e di consenso politico per sostenere questi programmi? Crediamo di sì, almeno nel medio periodo.

La prospettiva europea ci aiuta. La costruzione e maturazione della cittadinanza europea, concetto in divenire che riesce a conciliare l’esistenza di un largo comune denominatore di diritti e di dovericon il rispetto per una pluralità di culture di appartenenza, è un buon punto di riferimento. Per noi europei come per le seconde generazioni immigrate.» (43).

PAR.2 LE TRAIETTORIE D’INTEGRAZIONE DELLA SECONDA GENERAZIONE

 «Possiamo individuare a questo punto tre traiettorie idealtipiche delle seconde generazioni:

a) La prima è quella dell’assimilazione tradizionalmente intesa, in cui l’avanzamento socioeconomico si accompagna l’acculturazione nella società ricevente, e questa a sua volta comporta il progressivo abbandono dell’identificazione con un’appartenenza etnica minoritaria e con pratiche culturali distintive.

b) La seconda è quella della confluenza negli strati svantaggiati della popolazione, con scarse possibilità di fuoriuscita da una condizione di esclusione, un aggravamento della marginalità e della disoccupazione. Possiamo distinguere due varianti di questa traiettoria»: nelle impostazioni strutturaliste è stata in genere sottolineata soprattutto la scansione tra socializzazione, paradossalmente riuscita, agli stili di vita e ai consumi delle classi giovanili, e persistente carenza di opportunità di miglioramento economico e sociale (proponiamo il

concetto di “assimilazione anomica” o “illusoria”); in America, invece, Portes e altri, con il concetto di downward asimilation, sottolineano piuttosto l’assunzione di un’identità etnica reattiva, contrapposta ai valori e alle istituzioni della società ricevente, tipica dei ghetti urbani e delle minoranze storicamente discriminate.

c) La terza traiettoria è quella dell’assimilazione selettiva, che rimanda all’assimilazione segmentata del recente dibattito americano, in cui la conservazione di tratti identitari minoritari, 43 ) M.Demarie e S.Molina “Introduzione. Le seconde generazioni. Spunti per il dibattito italiano”, in M.Ambrosini e S.Molina (a cura di), ibidem, p.XXIII 40 in genere rielaborati e adattati al nuovo contesto, diventa una risorsa per i processi di inclusione e in modo particolare per il successo scolastico e professionale. (….).» (44).  Gli stessi «Portes e Zhou (1993) hanno sviluppato il concetto di “assimilazione segmentata” al fine di tenere conto della diversità di risultati riscontrati nei processi di adattamento della seconda generazione. Questa teoria si focalizza sui metodi di incorporazione al fine di predirne gli esiti. Riconoscendo che la società consiste di segmenti segregati e disuguali (Zhou 1997, 984), Portes e Zhou (1993) hanno identificato un modello tripartito di adattamento, che includeva l’acculturazione e l’integrazione nella classe media bianca, la povertà permanente e l’assimilazione nell’underclass, oppure l’avanzamento economico rapido conseguito insieme alla preservazione cosciente dei valori della cultura di origine. In altre parole, viene qui contestata la tesi che un’accettazione completa dei valori, delle aspirazioni e dei modelli di lavoro della maggioranza della popolazione sia necessariamente la migliore strategia per la mobilità sociale della seconda generazione. (…).» (45).

«Quattro fattori vengono considerati decisivi: 1) la storia della prima generazione; 2) la velocità dell’acculturazione tra i genitori e i figli, e la sua possibilità di sostenere un’integrazione normativa; 3) le barriere, culturali ed economiche, che la seconda generazione incontra nella ricerca di un inserimento soddisfacente; 4) le risorse familiari e comunitarie a cui essa si può appoggiare per superare tali barriere (idid., pp.45-46).» (46).

PAR.3 LE CONDIZIONI DI INTEGRAZIONE SOCIOCULTURALE DEGI STRANIERI

 «Pur riconoscendo la pluridimensionalità e dinamicità del processo considerato, ai fini di questo studio si è scelto come punto di riferimento la nozione di integrazione sviluppata da Zincone nel Primo rapporto sull’integrazione degli immigrati in Italia (Zincone 2000). Tale nozione identifica nella letteratura tre potenziali interpretazioni del rapporto che si instaura tra nativi ed immigrati:- integrazione come uguaglianza di risorse e posizione sociale e giuridica: gli immigrati sono integrati se, a parità di condizioni, hanno lo stesso reddito e la stessa istruzione dei nazionali;

- integrazione come utilità: gli immigrati sono integrati se sono produttivi, utili alla società, senza

danneggiare gli interessi degli autoctoni;

- integrazione come somiglianza: gli immigrati sono integrati se hanno valori e modi di vita simili

ai nazionali.

Rispetto a queste tre interpretazioni Zincone ne elabora una quarta, che vede l’integrazione come interazione positiva, convivenza pacifica, tale da rendere possibile l’integrità della persona e la buona vita» (47).

PAR.4 VERSO UNA SOCIETA’ MULTICULTURALE O MULTIRAZZISTA?

 La presente indagine sull’integrazione socio-culturale degli stranieri residenti nel territorio italiano intendeva sostanzialmente mostrare – attraverso l’analisi dell’esperienza migratoria di una particolare famiglia straniera – la complessità di tale fenomeno integrativo: la diversità delle motivazioni dell’immigrazione; la diversità delle forme di insediamento; la diversità dei modi di adattamento; la diversità dei gradi di inserimento. Una diversità di integrazione determinata, a sua volta, da una diversità di fattori sociali, culturali ed individuali: la diversa provenienza sociopolitica degli immigrati; la diversa etnia di appartenenza; i diversi obiettivi di immigrazione; il 44 ) M.Ambrosini, “Il futuro in mezzo a noi. Le seconde generazioni scaturite dall’immigrazione nella società italiana dei prossimi anni”, in M.Ambrosini e S.Molina (a cura di), ibidem, p.38 45 ) J.Andall, ibidem, p.307 46 ) M.Ambrosini, “Il futuro in mezzo a noi.”, in M.Ambrosini e S.Molina (a cura di), ibidem, p.30 47 ) N.Cibella, “Indicatori dell’insediamento e dell’integrazione degli immigrati in Italia: una rassegna” in G.Sciortino e A.Colombo, ibidem, 2003, p.313 41 diverso contesto di residenza; la diversa esperienza di vita delle prime e seconde generazioni di immigrati.

Nella complessità di tale radicato e diffuso fenomeno sociale di immigrazione ed integrazione straniera, si possono individuare due possibili, ma opposte, direzioni politico-culturali di gestione:l’auspicata direzione verso una società multiculturale; e la temuta direzione verso una società multirazzista.

Il percorso della prima direzione è il percorso qui delineato nelle sue traiettorie e condizioni ideali di realizzazione. Di contro, il percorso della seconda direzione è il percorso che effettivamente (ed amaramente) si sta realizzando. La stessa analisi dei dati della presente indagine ha evidenziato una certa chiusura socio-culturale tra i soggetti “comunitari” e “non comunitari” e tra gli stessi “non comunitari”. Molteplici i fattori, ovvero, le responsabilità reciproche – sia dirette che indirette, sia volontarie che involontarie – di tale chiusura: la forte etnicità degli immigrati stranieri; la forte diffidenza degli autoctoni verso la diversità; il lento ed ambiguo adeguamento della normativa italiana; la stessa crisi del mercato lavorativo ricevente. Di qui, l’emergere progressivo e silenzioso di una realtà sociale multirazzista: una realtà caratterizzata da molteplici razzismi reciproci tra ledifferenti etnie immigrate; tra i non-comunitari ed i comunitari; tra le stesse diverse generazioni distranieri ed autoctoni.