VEDEMECUM PER IL RISPARMIO E LA SALVAGUARDIA ENERGETICA

 

 

ENERGICA MENTE

Vademecum per la salvaguardia di ogni forma di Energia ( MARZO 2013)

ENERGIA E CULTURA: sono poi così distanti?

Premessa

Quando si parla di “energia”, il processo mentale dell’uomo odierno colloca il termine nell’ambito dell’energia esterna, funzionale all’attivazione dei vari sistemi di comunicazione e di illuminazione. Ossia alla corrente elettrica.

Il concetto di energia può invece essere declinato in varie modalità ed ha sostanzialmente il significato di spinta in avanti, propulsione. Dall’energia motoria che porta l’uomo al camminare, sino all’energia delle idee , propulsive per una spinta in avanti della società.

Ecco già il primo compito che si rivela arduo. Trasmettere al lessico una revisione interpretativa del termine e rendere più ampio il suo ventaglio di terminologia attuativa.

Ridare cioè una nuova interpretazione culturale allo stesso termine di energia e svincolarlo dall’accezione più classica di Energia Elettrica, Termica o di altra fonte.

Solo in questo modo si potrà rivivere il significato della parola ed attribuirlo alle molteplici attività umane senza incorrere nello stereotipo di cui sopra riferito.

Certamente l’articolazione della moderna società non può prescindere dal’energia come motore di meccaniche funzioni. Ma riappropriarsi del termine “Energia” già significherebbe poterlo attribuire a diverse altre Categorie Mentali e dargli una nuova dignità. 

Si tratta dunque, come per il più dilatato concetto di risorse culturali materiali ed immateriali, di conferire al termine Energia una diversificazione materiale ed una immateriale, entrambe declinabili in modo ancora più articolato.

ENERGIE IMMATERIALI

 

LA CONOSCENZA

 

Attraverso i meccanismi sopra descritti, l’UNESCO dovrebbe far proprie queste istanze e diffondere la cultura dello sviluppo sostenibile, non solo dovuto cioè a fonti rinnovabili, ma identificarlo con quello compatibile con la fase di transizione che stiamo attraversando. Questo passaggio, non solo lessicale ma sostanziale, dal consueto e desueto “sostenibile” a quello “eco-compatibile”, già costituirebbe novità nella sostanza industriale, rendendola ben accetta a molti strati della popolazione a differenza del sostenibile, spesso utopico e ristretto ai cosidetti Pasdaran ambientalisti.

Colpisce in modo particolare che i Paesi produttori di petrolio dell’area magrebina e mediterranea abbiano un processo di sviluppo culturale più basso di quelli dell’Eurozona, malgrado siano proprietari per definizione del suolo tra i più ricchi al mondo. E colpisce che l’85% dell’immigrazione, anche clandestina, abbia origine da quei luoghi, nel segno che le risorse di cui dispongono non sono così sfruttate o meglio vengono “sequestrate” impedendo che i proventi arrechino vantaggi alla intera popolazione. Si chiude dunque il cerchio tra risorse del pianeta, loro utilizzo e cultura moderna che va ad ampio raggio dalla gestione corretta delle risorse fino alla identificazione piena dei strati sociali su cu riversare i proventi. Non è privo di significato né di motivazioni che il 78, 4% degli immigrati clandestini, parte dei quali si riverserà verso l’illecito, provenga da quei paesi. Come dire che la criminalità organizzata non deriva solo dalla miseria ma soprattutto dall’ignoranza.

 

ENERGIA MATERIALE

 

La prima fonte di energia individuata dall’uomo nei suoi primordi è quella autologa, fornita dal muscolo per compiere ogni attività volta alla sussistenza e sopravvivenza. Nell’antica Roma, la cultura del fisico era principalmente volta alla difesa del singolo e della collettività. Gli antichi eserciti, prima delle armi, coltivavano la forza fisica come principale strumento di offesa-difesa. Ne derivò rapidamente un’evoluzione del concetto di energia= forza fisica relativo alla competitività. Dunque nasce un assioma che vede nell’energia il conferimento di una forza volta al primato.

La competizione sportiva, sin dalle prime Olimpiadi, ha significato il rendere ancillare l’energia che conferisce forza al primato, in questo caso sportivo. Una distorsione tipica di questo concetto, prima che nascesse il diritto, era l’applicazione dell’energia e quindi della forza al prevalere di una collettività sull’altra. Ciò ha generato la guerra che significa primato totale di una collettività sull’altra.

E’ con la nascita del diritto che comincia a farsi strada la dominanza di energia mentale, affabulativa e dialettica quale strumento di primato e di difesa.

Generare la forza e sprigionare energia hanno costituito una spinta all’evoluzione scientifica quando l’uomo ha cercato altri strumenti al di là de muscolo per imporsi. Così sono nate le armi, dapprima da taglio e poi da fuoco.

La vera Energia immateriale è nata nei secoli dei lumi con lo sviluppo delle scienze filosofiche e quelle più propriamente tecniche che conferivano energia delle idee e dei proposizioni.

Le motivazioni che sono alla base del razionale della nostra proposta possono essere di due tipi:

Dirette per promuovere una cultura del risparmio, declinata in modo articolata e non soltanto dedicata all’energia. In questo caso essa comprenderebbe il risparmio economico, delle risorse materiali ed immateriali.

Indirette che riguardano più genericamente lo sviluppo e la diffusione della cultura della distribuzione di massa,essendo acclarato che il 68% delle risorse del pianeta sono nelle mani del 22% dei suoi abitanti.

Indipendentemente da un riconoscimento ideologico, questa sperequazione iniqua si ripercuote sulle aree deboli del pianeta, in specie l’area mediterranea e subtropicale dell’Africa.

Rientra dunque tra i compiti istituzionali e programmatici dell’UNESCO attivare quelle risorse culturali per la diffusione della piena consapevolezza di quanto sopra. Dunque un problema di conoscenza della fenomenologia e delle condizioni che significa cultura del problema.

La dipendenza dagli idrocarburi ha condizionato il pianeta sin dalla prima guerra mondiale. Quando cioè tra i fattori economici che la scatenarono ci fu anche quello del dominio dei Carpazi, allora sotto il controllo politico dell’Austria-Ungheria. La battaglia di Stalingrado è l’esempio emblematico di quanto avvenuto tra la Germania nazista e l’URSS. Da allora il processo politico di crescita è stato, per ogni Paese, nessuno escluso, condizionato dalla quantità di gas e petrolio utilizzabile per l’Industria pesante, i trasporti fino al Mercato Globale che sull’olio nero è fondato e che subordina alla sua acquisizione lo sviluppo industriale di Paesi come India e Cina e post-industriale dell’ Eurozona.

Diffondere dunque la cultura dell’indipendenza dalle importazioni di petrolio, gas e carbone è intorno appare determinante per la crescita di un Paese libero e non vincolato. Secondo gli assiomi correnti, un Paese non è condizionato dal petrolio quando il suo fabbisogno petrolifero non supera il 54% del fabbisogno in toto. In Italia questo valore si colloca all’86,8%.

Incentivare una cultura dell’alternativa energetica, ivi compresa la risorsa del risparmio, significa far intervenire, nel rapporto necessità energetica/ mezzi per soddisfarla, altre risorse come quelle da fonti rinnovabili, le biomasse, l’energia eolica e quella solare che, in particolare, è ancora il fanalino di coda fra le fonti alternative.

In ogni caso, in un futuro, anche a breve, il settore energetico è destinato a ricoprire il posto di traino degli scambi che è stato a lungo riservato al comparto finanziario, di cui comincia ad assumere due caratteristiche molto evidenti:

• il peso che le aspettative sociali e i conseguenti comportamenti rivestono sull’andamento del settore: i giovani italiani, consumatori di energia del futuro, ritengono che la diversificazione delle fonti di energia porterà ad un maggiore risparmio energetico, mantenendo in vita il pianeta (58,8%) e portando anche ad un risparmio monetario (34,5%);

• al tempo stesso, sul settore energetico si concentrano investimenti e tecnologie notevolissimi, che coinvolgono sia la società civile, sia le imprese, sia i grandi investitori istituzionali e aziendali di livello globale.

Ciò significa che sviluppare questo tipo di cultura porterebbe a risorse finanziarie idonee a tradursi in incremento della ricchezza pubblica, aumento del PIL e nuovi posti di lavoro.

 

Produzione e consumo di energia in Italia

 

Energia elettrica – Il 14,2% della produzione di energia elettrica deriva dalle rinnovabili, il 13,6% dall’importazione netta e il 72,2% dalla produzione tradizionale. I consumi finali di energia elettrica dal 1997‐2002 sono passati da 253.674 a 290.960 gWh salvo poi incrementarsi ancora e raggiungere il livello stimato in 316.149 con un incremento percentuale cumulato pari al 24,6% e un tasso di crescita medio annuo del 2%.  Dunque assistiamo ad una costante crescita della domanda ossia dei consumi a fronte , è vero, di una diminuzione delle importazioni nette.

Gas – Dal 1997 al 2008 a fronte di un dimezzamento della produzione interna di gas naturale dovuto all’esaurirsi di alcune fonti di approvvigionamento le importazioni nette si sono duplicate arrivando a rappresentare il 90% del totale .

Fonti rinnovabili – Nel futuro le rinnovabili dovrebbero assumere un ruolo centrale per l’economia nazionale, soprattutto in termini di riduzione della dipendenza dal classico approvvigionamento energetico di gas e petrolio dai paesi esteri e di adeguamento alle politiche di riduzione delle emissioni inquinanti.

Attualmente il contributo delle fonti rinnovabili è ancora marginale (solo l’energia idroelettrica mostra una percentuale significativa sul totale della produzione nazionale: più del 10%). Per quanto invece riguarda la produzione lorda degli impianti da fonte rinnovabile, essa è così ripartita:

1. fonti idriche: nel 2007 coprivano i due terzi del totale della produzione degli impianti da fonte rinnovabile; 2. biomasse e rifiuti: 14,1% del totale; 3. geotermica: 11,3%; 4. eolica: 8,2%; 5. solare: 0,1% .

Nel quinquennio 2003‐2007, la produzione lorda proveniente da fonti rinnovabili è cresciuta del 3% e il consumo in valori assoluti legato a fonti rinnovabili è salito del 10% circa. Aumenta, cioè, anche attraverso le oscillazioni legate all’andamento economico complessivo, il consumo da fonti “pulite”, non grazie, tuttavia, all’aumento di produzione nazionale da fonti rinnovabili, bensì grazie all’approvvigionamento di tale energia dall’estero.

Perché aumenta anche s noi non la produciamo ancora?

La risposta si trova verosimilmente in un incremento della consapevolezza, anche culturale, sulla questione. Si sta facendo strada una maggiore attenzione verso questo problema che deriva esclusivamente da maggiori conoscenze e dalla loro progressiva espansione nella pubblica opinione.

 

Una domanda sociale di energia consapevole, responsabile e attenta. Con qualche contraddizione

 

Gli italiani e, fra loro, i giovani dai 18 ai 30 anni stanno coltivando una domanda di rassicurazione sul loro futuro, al cui interno spiccano gli aspetti legati alle politiche energetiche. Ma mostrano anche di essere abbastanza responsabili nei loro comportamenti che hanno un riflesso diretto o indiretto negli sprechi di energia. L’uso di materiali riciclati (72,4%), la raccolta differenziata dei rifiuti (85,2%), l’uso della doccia piuttosto che del bagno in vasca (69,3%) sono soltanto alcuni esempi di consapevolezza energetica dei giovani italiani, che assumono sotto questo profilo comportamenti del tutto virtuosi.

Guardando ai comportamenti dei giovani italiani nell’ottica degli sprechi che contrastano il risparmio energetico, va però anche detto che non riescono ad abbandonare alcune cattive abitudini, ma che cominciano ad emergere segnali di miglioramento nei loro gesti quotidiani: spegnere i led degli strumenti elettronici o elettrici (30,8%), staccare il caricatore del cellulare (38,3%), regolare gli elettrodomestici in base alle stagioni( 37,1%). Più difficile abbassare l’aria condizionata, chiudere il freezer, far scorrere l’acqua senza usarla: il 68,1% dei giovani italiani non lo fa mai.

Risparmio energetico: un giacimento da esplorare

 

Nel breve periodo è importante intervenire sul risparmio energetico realizzato attraverso l’attribuzione di maggiore efficienza agli impianti esistenti. Si pensi ad esempio a come incide un processo di modernizzazione energetica di un edificio sul suo prezzo di acquisto. Il Censis, sulla base di dati forniti da periti industriali, stima che un immobile di 100 mq, che all’acquisto presenti un impianto energetico tradizionale, trasformato con impianto di classe B/A, aumenterebbe il suo valore di un buon 20%. Se poi venissero effettuati in tale immobile interventi estesi e radicali di risparmio energetico, fino a prefigurare un consumo energetico nullo, il valore potrebbe aumentare del 50%.

 

IL DOPO KYOTO

 

5 miliardi di Euro! Questa è la cifra che dovremo erogare per acquisire quote di Anidride Carbonica a compensazione di quelle già consumate, se la UE applicherà le sue sanzioni (quaranta dollari per ogni tonnellata di gas emessa illegalmente).

In questi ultimi anni la produzione dei gas-serra (anidride carbonica, metano, ossidi di azoto e ozono) ha condizionato il clima, aumentandone la temperatura di 1- 1,5 Celsius, creando le premesse per lo sconvolgimento del pianeta, producendo, cosa che nessuno osa dire, 8 milioni di morti per effetto delle calure improvvise, tempeste, uragani. Insomma ogni anno scompare una città come Londra!

A poche settimane dall’inizio della conferenza mondiale sul Clima (Buenos Aires, 6-17-Dicembre 2004) la Russia ha finalmente accettato di firmare, dopo sette anni di indecisioni e ripensamenti, il protocollo di Kyoto. Grazie a questa firma i Paesi che aderiscono all’intesa raggiungono la quota maggioritaria del 55 per cento delle emissioni dei gas serra. Restano comunque contrari all’auto-limitazione, imposta fino al 2012, Australia e Stati Uniti d’America, che da soli producono un quarto delle intere emissioni ( 5.750 milioni di tonnellate di CO2  sui 26.000 prodotti nel pianeta, pari a 6.691 milioni di tonnellate di carbonio). Già, il Paese di Bush, eletto dai petrolieri per non rispettare Kyoto e non farlo rispettare!

 

LA CLASSIFICA

 

L’Italia è dodicesima in emissioni di anidride carbonica con 449 milioni di tonnellate/anno secondo gli ultimi dati resi noti dalla IEA (International Energy Annual). Dalla mappa emerge che i paesi in via di sviluppo stanno entrando nei primi posti dei grandi emettitori mondiali. La Cina, per esempio, è al secondo posto dopo gli Usa e prima della Russia. L'India è al quinto posto, dopo il Giappone e prima della Germania. La Corea del Sud è al nono posto dopo la Gran Bretagna e prima di Australia, Francia e Italia. Sud Africa, Messico, Iran e Brasile si posizionano, invece, dopo l'Italia ma prima della Spagna che è scivolata al 18/o e che precede Arabia Saudita e Indonesia.

È questa la mappa delle emissioni totali di anidride carbonica al 31/12/2003 (i valori sono espressi in milioni di tonnellate per anno):1) Stati Uniti 5.750; 2) Cina 3.323; 3) Russia 1.522; 4) Giappone 1.180; 5) India 1.026; 6) Germania 840; 7) Canada 592; 8) Gran Bretagna 552; 9) Sud Corea 451; 10) Australia 410; 11) Francia 407; 12) Italia 449; 13) Ucraina 388; 14) Sud Africa 378; 15) Messico 363; 16) Iran 359; 17) Brasile 346; 18) Spagna 341; 19) Arabia Saudita 329; 20) Indonesia 300; 21) Polonia 268; 22) Olanda 256; 23) Taiwan 230.

Il totale mondiale è di 24.533 milioni di tonnellate per anno di CO2, pari a 6.691 milioni di tonnellate di carbonio.

In pratica, negli ultimi due anni la Cina ha superato la Russia nelle emissioni ( Fig. 1) e ben 4 Paesi asiatici ( Cina, Giappone, India e Sud Corea) sono tra i primi dieci Paesi produttori di gas-serra, in fortissima spinta produttiva e pronti a prendersi una fetta del mercato globale.

Lo stesso Tom Goldtooth, direttore della Red ambientalista indigena ha dichiarato–“ Il vero problema è che parlano di cambio climatico in chiave di libero mercato. Così l’ambiente è davvero in pericolo».

Infatti è avvenuto proprio questo: anziché discutere come limitare le emissioni, come riqualificare e riconvertire i cicli di produzione, si è pensato di “ vendere l’aria e le foreste”. Già dalla Conferenza di Johannesburg, era nato il concetto, oggi prevalente, delle Emission Trading, ossia la compravendita delle quote di CO2. Per ogni Paese viene fissato un tetto (CAP) alle emissioni totali di tutti i partecipanti attraverso l’allocazione delle quote di emissione per un determinato ammontare in uno specifico periodo di tempo. Ogni anno i partecipanti devono restituire un numero di quote pari alle loro emissioni annuali verificate. Il deficit di quote sarà sanzionato, mentre il surplus di quote potrà essere venduto o accantonato per gli anni successivi. Tuttavia fra i 21 piani nazionali di quote per lo scambio di emissioni di gas serra, che la Commissione europea ha approvato alla fine del 2004, manca quello dell’Italia. Il piano italiano non può essere approvato perché incompleto. Nell’elenco presentato dal nostro Paese mancherebbe quello delle installazioni soggette ad Emission Trading e quindi non possiamo entrare in possesso delle nostre quote. A completare la lista nera si aggiungono Grecia, Polonia e Repubblica Ceca.

Il problema è costituito dunque dal fatto che per nessun Paese viene imposta una limitazione nelle emissione di gas serra ma semplicemente un sistema di mercato, più o meno elastico, perché ciascuno potrà acquisire quote da Paesi ai quali è concesso il surplus di emissione, come l’Ucraina, o Paesi dotati di ampie riserve forestali che concedono quote in vendita a Paesi che hanno raggiunto il deficit per surplus di emissione.

In questo libero scambio di libero mercato, si fa per dire, vi è un pesantissimo condizionamento delle multinazionali del petrolio o delle Holding di manifatture pesanti (Industria Automobilistica- Toyota, Chrysler-Daimler, VW, Ford, General Motors- le c.d Cinque Sorelle). Ci sono dunque Paesi a diverse velocità, ciò che condizionerà il prossimo sviluppo industriale. In tutto questo l’Unione Europea che pure ha anche già fissato in quaranta dollari la sanzione per ogni tonnellata di gas emessa illegalmente, non sembra avere una politica univoca. Vi sono Paesi virtuosi, o meglio a ciclo industriale riconvertito, come la Gran Bretagna che ha fissato per il 2005 il target del -12% ma ha già raggiunto il -14% e la Germania che con il suo -18,5% si avvicina al traguardo prefissato per il 2007 del – 21%. (Fig. 2(tab.1) .

L'Italia, che si trova in una classifica che la vede dodicesima con ben 449 milioni di tonnellate emesse, ha ratificato il Protocollo ma non ha messo in pratica nessuna politica energetica per limitare le emissioni di CO2 e, ora che il documento diventa vincolante, il governo rifiuta di impegnarsi oltre e dichiara di preferire gli accordi bilaterali con Paesi come Cina e India, puntando sull'acquisto di crediti

I Paesi, che abbiamo passato in rassegna, sono tutti d’accordo di trattare per ora le questioni relative alle emissioni c.d. pesanti cioè, attività nel settore energetico, installazioni di combustione con capacità termica superiore a 20 mw, raffinerie di olio minerale,forni a carbone, produzione di ferro e acciaio, industria del cemento, calce, vetro, ceramica .

Si rimanda ad una Conferenza ad hoc, la trattazione delle emissioni dell’Aviazione (Aviation Emission) che al momento non vengono imputate né subiscono delle restrizioni, pur essendo cresciute del 40% dal 1990 al 2000 ed in Europa ricoprono il 12% delle emissioni. Non è casuale questo ritardo poiché si offre all’industria aeronautica americana ( la Boeing di Seattle, WA) l’opportunità di mettere sul mercato i nuovissimi 7X7, 767,757, dotati di minori consumi ed emissioni. In gioco c’è anche il Consorzio Europeo Airbus ma in buona seconda posizione.

Ma soprattutto si rimanda la questione del Traffico Urbano responsabile in Europa del 40% delle emissioni e nelle nostre città si continua a morire di smog ( in Italia contiamo 12.000 morti ogni anno).

prima deduzione:l’effetto serra è dovuto ad un coacervo di fattori Fig.2, in cui non domina solo la componente industriale e di produzione energetica (centrali termoelettriche) ma anche traffico e camini domestici. Extrapolare questi due fattori, a fronte di un mercato cinese ed indiano in espansione significa voler decapitare la quota di gas-serra prodotta da questo futuro parco auto, prevedibile in almeno 2-3 mila milioni di tonnellate, il 10% dell’intera quota.

Dalla Conferenza di Baires vi è un grave segnale di stagnazione su alcuni gravissimi problemi di etnie destinate all’estinzione. Dalle popolazioni delle isole del Pacifico, che potrebbero scomparire nell’oceano, ai Mapuches che si ammalano di tumore. E poi gli Inuit, venuti dal Circolo polare artico. Se c’è un posto dove i danni del cambio climatico arrivano prima e si muovono a passo più veloce rispetto al resto del mondo, questo è proprio il Circolo polare. Dunque problemi di diritti all’esistenza si mescolano con il diritto alla sopravvivenza economica che è messa in dubbio dalla forbice che si allarga a dismisura.

Attraverso l’Emission Trading si deciderà il destino economico e lo sviluppo di alcuni Paesi, le Holding sacrificheranno al profitto intere generazioni di Paesi di quello che è ormai Quarto Mondo, i Paesi Asiatici entreranno nel mercato globale con prepotenza e lo condizioneranno.

Di fronte a tutto questo assistiamo impotenti ed in silenzio alle manovre del nostro Governo che abbandona le logiche comunitarie e stringe accordi paralleli, nella speranza di intercettare qualche piccolo mercato per qualche prodotto di nicchia.

Lo scenario globale dominato dai colossi industriali entrerà in conflitto con i mercati locali e li distruggerà come fecero quei mastini che, dopo una battuta di caccia, scaraventarono il piccolo gattino bianco che  Enrico Mattei assimilava all’ENI

 

IL FABBISOGNO ENERGETICO

 

Il deficit energetico, di cui il black out del 29 settembre 2003 è solo il cubetto di ghiaccio dell’iceberg della nostra domanda in termini di energia, è quantizzabile nella tabella seguente:

 

 

Tabella 12 Situazione del sistema elettrico italiano (IEFE Università Bocconi di Milano, numeri espressi in  megawatt)

 

Situazione
al 31/12/1981

Situazione
al 31/12/1991

Situazione
al 31/12/2002

Termoelettrico

31.960

38.793

55.119

Idro e rinnovabili

15.766

19.078

21.108

Totale disponibile alla punta

36.078

43.752

58.142

Capacità importazione

2.200

4.600

6.000

Domanda alla punta

31.300

42.024

51.980

Riserva alla punta (senza import)

15%

4%

12%

Riserva alla punta (con import)

22%

15%

23%

 

La riserva di energia attuale prevede un range di utilizzo pronto così basso da rendere ineludibile il Decreto Bersani sui nuovi impianti. A fronte di ben 122 richieste di progetti presentati ai sensi della Legge 9 aprile 2002, n° 55, solo 21 sono stati accettati. Tuttavia la loro distribuzione è indicativa: otto centrali dovrebbero essere costruite nel nord, in tutta la fascia subalpina, quattro in Emilia e 9 nel sud, trascurando il centro ( Lazio,Abruzzo e Campania che insieme sono una domanda di ben 14 milioni di abitanti). Ergo, la offerta energetica è solo in funzione delle macroaree industriali e soggiacciono a leggi di mercato dell’industria pesante. Se ne deduce ancora che appare verosimile una espansione in questi nuovi progetti delle emissioni serra. Di questi progetti avanzati sono 1 a cantiere fermo, 8 inattivi, 4 in recinzione, 8 in attività di lavoro. Il totale di energia attesa è pari a 12.637 di megaWatt. La disponibilità totale è prevista per il 2008, la domanda attuale è di 17.897 Megawatt in attesa  pronta.

In questo quadro spiccano, tra i 4.802 MW in costruzione oggi, i 3.775 MW della sola società Enipower del gruppo Eni. Così come il numero delle autorizzazioni con cantiere inattivo dell'Edison: segno evidente di una azienda che si è preparata a sfidare l'Enel e dopo l'acquisizione della fetta di vecchie centrali dall'ex monopolista e al cambiamento di strategie della socia Edf, si trova nella necessità di riorganizzare la strategia aziendale. Oggi Edison sembra concentrare gli investimenti sulle centrali Edipower, evitando di farsi concorrenza, e nella difficoltà di reperire altri finanziamenti bancari sembra decisa a tenersi buone le autorizzazioni acquisite per tempi migliori.

Ne scaturisce che il Protocollo di Kyoto costituirà una premessa per l’incremento di nuove tasse: una quota parte ( 40%) dei 5 miliardi di euro verrà addebitata alle famiglie italiane dell’industria elettrica con la voce “Kyoto” sulla bolletta, nella misura possibile di circa 34 Euro/pro capite/anno. Ergo, una famiglia, dalla composizione media di 3-4 persone, pagherà un surplus annio di circa 100-130 euro. Né va dimenticata l’addizionale per i carburanti al dettaglio e per uso industriale che già da 4 anni sono in ascesa irreversibile.

 

Il fabbisogno energetico richiede dunque una pronta disponibilità che non essendoci va trovata sul mercato: Francia, Germania e Svizzera riversano sul gestore della rete (GRTN) il fabbisogno richiesto. Queste nazioni possono erogare un surplus di energia, essendo dotate di circa 25 centrali nucleari. Tuttavia , come dimostra la FIG. 43, la loro emissione in termini di relativi gas-serra, emessi da produzione energetica, è pari se non superiore a quella italiana. Si deduce che l’apporto di Nucleare non costituisce valore aggiunto positivo ma valore aggiunto negativo perché non limita o riduce le emissioni serra. Inoltre già negli USA è stato definitivamente abbandonato il progetto nucleare per il costo sempre più elevato ( 4, 5 cent per watt, a fronte dei 3 con fonti rinnovabili e 2,5 con fonti tradizionali). Né in Italia i nostri pochi laureati in Fisica nucleare ( inferiori ai 25/anno) presentano un Know-How idoneo a sviluppare una progettistica valida ed affidabile.

Al contrario viene incentivato in Italia il progressivo ricorso al Carbone, che viene di fatto limitato nei paesi europei, ma non in quelli di futura acquisizione ( Ungheria, Rep. Ceca, Moldavia, Bielorussia). Un esempio recente: la riconversione a carbone delle centrali Enel di Civitavecchia e di Montalto di Castro ha scatenato un' ondata di proteste da parte dei comitati locali anche perché la situazione sanitaria dell'area interessata è già critica per l' alta percentuale di tumori, leucemie e patologie infantili come l' asma bronchiale. Basti pensare che una Centrale a ciclo combinato o turbogas da 800 megawatt produce PM10 pari a 200 mila vetture/die mentre a carbone la medesima inquina quanto 500 mila vetture/die.

 

LE ENERGIE ALTERNATIVE

 

Una sola operazione potrebbe risolvere il problema dei rifiuti, della energia pulita, del surriscaldamento del clima e dell’inquinamento che incide sulla salute di tutti! Orami sono note tecnologie adatte, basterebbe solo smettere di usare i metodi obsoleti di raccolta dei rifiuti, che vengono gabellati per miracolosi e imposti ai cittadini (e a loro spese) che ubbidiscono perché non sanno che sono obbligati a un comportamento correttissimo, usando un metodo fino a ieri l’unico, ma oggi erroneo, tanto che potremmo dire loro, “Non vantarti di quanto sei bravo perché hai differenziato il 50% dei tuoi Rifiuti, ma vergognati invece per quanto stai inquinando con l'incenerimento dell'altro 50%!”

 

Naturalmente questa iperbole è solo per attrarre l’attenzione di cittadini e politici sulla possibilità che un intelligente comportamento, possa trasformarsi in una azione non solo errata, ma addirittura gravemente dannosa per se e per gli altri. Differenziare il più possibile è cosa saggia, intelligente e anche salutare, ma solo perché fino a ieri tutto ciò che non si differenziava andava in discarica o nell'inceneritore (che rimane tale e fortemente inquinante, anche se viene usato l’ecologico termine di “Termovalorizzatore” perché produce anche energia elettrica).

 

Oggi esistono varie possibilità per smettere di inquinare perché non è più necessario incenerire quel secondo maledetto 50% (che pur sempre esiste e sempre esisterà) e salvare cosi la vita propria e quella di tutti coloro che abitano intorno ai “Termoinquinatori” (oltre a coloro che abitano lontani, ma mangiano i prodotti coltivati in tali zone). La possibilità invece unica ed efficace per eliminare con certezza, sicurezza assoluta perché senza combustione, senza camini e quindi senza possibilità di inquinamento alcuno (oltretutto a costo zero, perché si autoripagano in Project financing), la totalità di quel 50% non differenziati di RSU più tutti quelli industriali, compreso il pericolosissimo e subdolo amianto oltre che i più tossici e inquinanti, ce la offrono le nuove tecnologie che da oltre un anno sono ormai industrialmente disponibili sul mercato mondiale.

 

Questo denaro potrebbe venire interamente risparmiato se si usassero le nuove tecnologie, che non costano niente (perché si auto-ripagano in Project financing), le quali oltretutto fanno ugualmente anche (automaticamente, meccanicamente e elettronicamente) la più perfetta differenziazione, solo che la fanno gratis (perché rientra nel ciclo di lavoro) al posto della identica e costosa azione manuale dell'uomo, producono ugualmente elettricità, calore, per la prima volta la preziosa acqua potabile. Visto che l'Italia ha un fabbisogno di circa 350.000 GWh l'anno di energia elettrica dei quali il 20% già proviene da fonti rinnovabili (idrico, eolico, fotovoltaico e geotermico) e il resto è ottenuto per il 67% con combustibili fossili mentre il 13% viene importata.

 

Sottraendo all’incenerimento il 50% della produzione di rifiuti degli italiani (pari a circa 45 milioni l'anno tra rifiuti urbani e industriali), sarebbe più che sufficiente a produrre l'80/90%, circa 280/310.000 GWh/anno, tra quanto acquistato, quanto ottenuto con “Termoinquinatori”e quanto ottenuto nelle Centrali elettrotermiche a prodotti fossili, con la costruzione di circa 40 Complessi Ecologici Polivalenti da 5000 tonnellate al giorno l'uno (o 80 da 2500 t/g) a zero costo di costruzione, zero di conferimento, con inquinamento assolutamente nullo e potrebbero essere in grado di farci diventare addirittura esportatori.

 

L’INQUINAMENTO LUMINOSO

 

 

L’inquinamento luminoso è uno delle tante forme di commistione che ammorbano l’aria respirabile e l’ambiente in cui viviamo. Nella vulgata corrente, l’ambiente gassoso o aereo è inquinato da gas tossici, ivi compresi quelli di scarico autoveicolare ed industriale, gas nocivi come l’anidride carbonica (CO2) ed infine gas asfissianti come il monossido di carbonio (CO). Questo tipo di inquinamento spesso, nelle grandi aree urbane, si associa a quello elettromagnetico ed a quello visivo e luminoso di cui pochissimo si tratta.

Malgrado l’approvazione di ben 13 leggi regionali in tema, ancora oggi, in moltissime piccole e grandi città, vengono attivati impianti che inviano direttamente in cielo oltre il 30% dell’energia elettrica sotto forma di flusso luminoso (peraltro senza alcun dispositivo che consenta di effettuare forme di risparmio energetico nelle ore della in cui il traffico risulta drasticamente ridotto).  Solo alcune Regioni hanno dato luogo a protocolli attuativi (Emilia-Romagna, Lombardia, Lazio, Liguria, Puglia,Umbria).

Da tale stato di cose emerge che ogni anno, solo in Italia, vengono dilapidati oltre 350 milioni di euro per errori di progettazione, installazione o gestione negli impianti luminosi; a ciò si deve aggiungere un sensibile aumento del quantitativo di anidride carbonica immesso nell’atmosfera causato dai maggiori consumi.

 

 

Quando l'uomo immette luce di notte nell'ambiente, al di fuori degli spazi che è necessario illuminare, altera la quantità naturale di luce presente, producendo una forma di inquinamento da luce artificiale a scapito di quella naturale.

Ad esempio, è fonte di inquinamento luminoso la luce che un apparecchio di illuminazione disperde al di fuori della zona che dovrebbe illuminare. Le stesse superfici illuminate producono inquinamento luminoso allorquando riflettono o diffondono nell'ambiente la luce che giunge loro.

L'inquinamento luminoso non crea disturbo solo agli animali e alle piante, come documentato da anni, ma è un problema anche per l'uomo. Infatti la luce dispersa verso l'alto illumina le particelle in sospensione nell'atmosfera e le stesse molecole che la compongono: si crea così uno sfondo luminoso che nasconde la luce stellare. Questo potrebbe sembrare un problema solo per gli astronomi e gli astrofili, che non riescono più a sfruttare la piena potenza dei loro sofisticati e costosi strumenti. Invece è un problema per tutti perché l’aumento della luminosità del cielo notturno, altera il nostro rapporto con l’ambiente dove viviamo. A questo si aggiunge il danno alla componente paesaggistica di cui il cielo notturno è elemento fondamentale con conseguenze per l’industria turistica nazionale che sarebbe sbagliato ignorare.

A cura di Maria Teresa Amoroso e Aldo Ferrara